Teatro alla Scala LES TROYENS dall’8 al 30 aprile

 
 
Stagione d’Opera e Balletto 2013 ~ 2014
 
8, 12, 16, 22, 26, 30 aprile 2014
 
LES TROYENS
 
Grand-opéra in cinque atti
 
Libretto e musica di  HECTOR BERLIOZ
 
(Editore Alkor-Bärenreiter, Kassel.  
Rappresentante per l’Italia Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali, Milano)
 
 
Prima rappresentazione parziale: Parigi, Opéra, 4 novembre 1863
(solo seconda parte: terzo, quarto e quinto atto)
 
Prima rappresentazione completa:
Karlsruhe, 6 (La prise de Troiee 7 (Les troyens à Carthage) dicembre 1890
 
Prima rappresentazione al Teatro alla Scala (e prima in Italia): 27 maggio 1960
 
 
 
Nuova produzione
 
In coproduzione con Royal Opera House, Covent Garden di Londra,
Wiener Staatsoper San Francisco Opera
 
 
Direttore  ANTONIO PAPPANO
 
 
Regia DAVID MCVICAR
Collaboratore del regista LEAH HAUSMAN
Scene ES DEVLIN
Costumi MORITZ JUNGE
Luci WOLFGANG GÖBBEL
Coreografia LYNNE PAGE
 
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Maestro del Coro BRUNO CASONI
Personaggi e interpreti principali
 
Cassandre Anna Caterina Antonacci
Didon Daniela Barcellona
Enée Gregory Kunde
Chorèbe Fabio Capitanucci
Panthée Alexandre Duhamel
Narbal Giacomo Prestia
Iopas Shalva Mukeria
Ascagne Paola Gardina
Anna Maria Radner
Hylas Paolo Fanale
PriamMario Luperi
HécubeElena Zilio
 
-----------------------------------------------------------------------
 
Date:
 
Martedì 8 aprile 2014 ore 17.30 prima rappresentazione
Sabato 12 aprile 2014 ore 17.30 ~ turno A
Mercoledì 16 aprile 2014 ore 17.30 ~ turno E
Martedì 22 aprile 2014 ore 17.30 ~ turno D
Sabato 26 aprile 2014 ore 17.30 turno B
Mercoledì 30 aprile 2014 ore 17.30 ~ turno C
 
Prezzi: da 210 a 13 euro
Infotel 02 72 00 37 44
www.teatroallascala.org
 





 
Opera in breve
 
Nella postfazione ai suoi celebri Mémoi- res, Berlioz ci introduce – con un’appa- rente contraddizione – nel cuore della sua ultima, grande opera. Les troyens, in- fatti, vennero concepiti sotto il duplice se- gno di Virgilio e di Shakespeare. Tratti dall’Eneide, essi sono nondimeno “un grand opéra traité dans le systhème shakespearien”: non soltanto, quindi, un richiamo alla tragicità di stampo classico (su cui bisognerà ritornare), ma anche un omaggio romantico al modello di Shake- speare. Quest’ultimo fa chiaramente ca- polino nel Duetto delle sentinelle del V Atto, il cui carattere prosaico contrasta con lo stile sublime che precede. Tale pa- gina venne soppressa durante la prima rappresentazione dei Troyens à Carthage al Théâtre-Lyrique di Parigi (1863), sop- pressione che fu così commentata da Ber- lioz: “In Francia il mélange di tragico e comico è considerato pericoloso, se non insopportabile [...]. D’altronde per la maggioranza dei francesi Shakespeare è come il sole per le talpe”. Un altro sotto- testo shakespeariano evidente è nel bel- lissimo Duetto d’amore che chiude il IV Atto: “Par une telle nuit”... Così sussur- rano Enea e Didone riecheggiando Lo- renzo e Jessica nel Mercante di Venezia (V, 1). Ma ciò che va anche messo in evi- denza, nella postfazione citata, è il senso di estraneità al proprio tempo che Ber- lioz esprime attraverso Les troyens. Egli si descrive come un sopravvissuto (“Ma carrière est finie”) e spinge il disincanto nei confronti del presente non solo dando
per scontato l’insuccesso del 1863, ma an- che ironizzando sulla cospicua somma che esso gli fruttò, grazie alla quale poté abbandonare – almeno – l’attività di criti- co musicale (“Après trente ans d’esclava- ge, me voilà libre!”). Vale la pena, pen- sando anche al contesto teatrale odierno, riportare una frase della postfazione in cui Berlioz se la prende con i tagli e gli aggiustamenti di Léon Carvalho (il diret- tore del Théâtre-Lyrique), ai cui occhi “la mise en scène di un’opera non è fatta per la musica, è la musica che è fatta per la mise en scène”.
Dunque l’unica rappresentazione dei Troyens cui Berlioz poté assistere fu quel- la del 1863, che inscenò solo la seconda parte dell’opera (Atti III-V, col titolo Les troyens à Carthage). Nella forma originale e completa, Les troyens vennero rappre- sentati in due serate (La prise de Troie: 6 dicembre; Les troyens à Carthage: 7 di- cembre 1890) a Karlsruhe, più di vent’an- ni dopo la morte del compositore. Questo carattere inattuale e per molti versi po- stumo non va però inteso – idealistica- mente – come se Les troyens non avesse- ro rapporti con il contesto culturale del loro tempo. Tutt’altro. Il “ritorno al tragi- co” è tipico, a Parigi, degli anni Quaranta- Cinquanta ed è inscindibile dall’arte della più grande attrice di quel tempo: Rachel (Élisabeth Rachel Félix). Non a caso, nel gennaio 1856 Berlioz scrisse alla princi- pessa Carolyne Sayn-Wittgenstein che avrebbe voluto farsi leggere da Made- moiselle Rachel il V Atto dell’opera (quello col Monologo di Didone) e le sce- ne di Cassandra negli Atti I e II: “Il y a là [nella recitazione di Rachel] des accents qu’il faut trouver, des silences à determi- ner, des inflexions à saisir”. Berlioz non compose il ruolo di Cassandra pensando a una cantante particolare, ma sognando una versione operistica dell’attrice Ra- chel; colei che poté avvicinarsi di più a questa figura fu probabilmente il mezzo- soprano Pauline Viardot, per la quale Berlioz mise a punto nel 1859 una nuova versione dell’Orphée di Gluck che ebbe molto successo. Il 26 agosto 1859 egli scrisse alla sorella Adèle: “Madame Viar- dot, ou je me trompe fort, serait une Cas- sandre admirable”. Rachel e Pauline Viardot, nonostante la morte prematura della prima e la longevità della seconda, erano perfettamente coetanee, essendo nate entrambe – come Baudelaire – nel 1821.
Il richiamo alla classicità del romantico Berlioz porta anche con sé un atteggia- mento formalistico e retrospettivo (tipico di ogni stile tardo) che non aiutò l’opera ad affermarsi in epoca wagneriana. In un’altra importante lettera alla Sayn- Wittgenstein dell’agosto 1856, Berlioz scrive che per lui ciò che conta è “trovare la forma musicale, la forma senza la quale la musica non esiste o diventa la schiava umiliata della parola. Questo è il crimine di Wagner”. In questa chiave vanno letti i grandi ensembles presenti nell’opera, co- me il monumentale Ottetto et double Chœur dell’Atto I. Berlioz non sente il
bisogno di abolire o dissimulare l’impian- to a pezzi chiusi presente nell’opera. Ciò detto, nulla risulta più moderno di questo neoformalismo retrospettivo. Nella Pre- ghiera del coro femminile che apre il II tableau dell’Atto II, Berlioz utilizza una scala di si (modo ipofrigio) trasposta sul sol che nel rapporto sol-re bemolle (quin- ta diminuita) esprime “quelque chose de curieux”: così scrive il compositore alla Sayn-Wittgenstein, aggiungendo di capta- re in quelle invocazioni un’eco delle fœ- minae ululantes di Virgilio. Ma tutta l’or- chestrazione messa in scena da Berlioz è modernissima: basti pensare agli effetti stereofonici di spazializzazione sonora (Finale dell’Atto I) o a quelli timbrici as- sociati spesso a momenti puramente pan- tomimici, come l’indimenticabile clarinet- to di Andromaca o i corni con sordina dell’Ombra di Ettore. C’è qualcosa di strutturalmente sinestesico e plurisenso- riale, di visionario, nella drammaturgia sonora di Berlioz. Riferendosi all’incanta- to Settimino del IV Atto, il compositore scrisse alla Sayn-Wittgenstein (lettera del 17 febbraio 1857): “Il me semble qu’il y a quelque chose de nouveau dans l’expres- sion de ce bonheur de voir la nuit, d’en- tendre le silence”. In questo quadro, cre- do che appaia più chiaramente perché Les troyens, un’opera sostanzialmente ignorata dai suoi contemporanei, sia di- ventata per noi, oggi, un punto di riferi- mento irrinunciabile della drammaturgia musicale ottocentesca.